Di Luce e nella Luce,
la Vergine mi guarda:
Io posso concepirti senza manto,
Madre,
perché sei senza peccato.
Di Luce e nella Luce,
la Vergine mi guarda:
Io posso concepirti senza manto,
Madre,
perché sei senza peccato.
L’intimità dell’uomo è pioggia cristallina,
che cade silenziosa, si sperde senza fretta.
Dove trova rifugio
Si raccoglie, pulita, in un rigagnolo
E si fonde serena con il fango.
E lei sa, come so, nel suo sapere,
trarsi dal fondo oscuro con grazia luminosa.
Con certezza lo sa.
Poi quell’insieme strano di luce e grigia polvere
Generato dall’acqua, quietamente,
s’eleva piano viva e rilucente
dal Sonno degli Spazi circostanti
e costringe l’Arcano a svelarsi di nuovo
e imagina la Vita che dona all’istante
successivo. Tremante, con sorpresa
si libera dal gioco, inganno naturale,
ascoltando lontano la sua voce
che pervade la luce dei cristalli
rosa. E vive così, nel solitario
concentrarsi in se stessa. Tutto tace
– assoluto silenzio delle forme –
nel creato sorgivo di cosciente dolcezza.
Due rette parallele s’uniscono veloci
-indifferenti al pianto del pensatore greco –
come la nostra vita, che oscuramente cieca,
giustappone violenta nello spazio infinito,
le strane divergenze dell’agire illusorio.
(A Chopin)
E’ un canto notturno?
No.
Anche se vo cantando
Nella notte,
E’ il giorno
Che preme,
Che nasce,
Che irradia all’intorno
Le sue falangi bianche,
Ricacciando nel buio
– Che non è più, buio! –
Le tristi oscurità del peccato.
Io ho te, Signore
E per questo,
Dove vado,
Nessuno…,
Nessuno
Può spegnere la mia candela.
(Omaggio a Ugo Foscolo, l’amato de I Sepolcri, anche de Le Grazie, a dire il Vero)
Nel lento divenire di tempi lontani
La metanoia
Trasforma in sigilli
Le storie di Spiriti persi.
S’incàntano adesso di dolci musiche
Che, rapide, ricadono in stuoli d’uccelli
E di sensazioni si cingono.
Io ti cerco, Movimento dell’Idea,
o Amore, come vuoi chiamarti.
Lascio alle vicende d’intrecci e di forme
La loro stanchezza
E tabernacolo etereo,
con le anime amiche
Toccate dalla Grazia fulgurea,
risuscitiamo dagli antichi sepolcri.
E allora, in un balenìo dell’attimo,
che è lapide iscritta in eterno,
Amore di nuovo mi parla,
mi veste di muta preghiera.
Son sola in un susseguirsi
Di morti, di attese tempeste,
di zefiri soavi e presenti
che sfiorano appena
la terra e le foglie.
Ti cerco, Mio Amore, nel vuoto
Di fluidi o pensieri viventi.
Cantano insonni le acque
di fiumi avvolti dal Sole.
E il senso del Tempo mi chiama,
cancella dello spazio i risvolti
di ossa indurite, non ròtte.
Non ròtte, Amore mi ascolti?
Non ròtte dal pianto o dal riso.
Amore, ti cerco, fra note
Di aurore fiammanti,
di trémule piogge,
di strani incantesimi
che s’aprono ai ritmi
dei loti divini.
In questo incessante cercare,
– che è sguardo e luce negli occhi –
si svegliano
i sensi interiori sopiti, le dodici chiavi
di pietre preziose adornate,
le porte serrate spalancano
ed entro, con lieve timore,
nel Tempio da tanto anelato,
soffuso di grave silenzio.
Ti vedo, raccolto in te stesso
e piangi sui mali degli Uomini,
Amore Divino.
Pensiero d’Amore, di Uomo
E di Donna espressione sonora,
che unisci con filo dorato
i vuoti sfuggiti, incoscienti.
Di Gioia riempio le assenze,
per troppo dormienti, sognanti,
la gioia di essere ho appreso,
ed ecco, le storie son canti.
Alessandra Vettori, (Dialoghi poetici con l’Anima Complementare)