cuento di eugen galasso

Rimestava taccuini, libri, libercoli, pubblicazioni varie, riviste(“ma varda ti, go mès un sghit anca lì”- per i non trentinofoni-l’autore non lo è, neppure il protagonista-attore del tutto,  ma… lo”sghit”è l’escremento, in genere piccolo, degli uccellini), ripensando suo imbranamento, suo”stand by”-sand by, era venuto fuori dal computer, chissà, refuso quasi provvidenziale, se solo fosse vero… “Chissà, pensava”, francamente stasera vorrei solo riposare(si fa per dire, aveva davanti a sé due bei tomi da approfondire…), “invece mi tocca portarmi dietro tutto, quantomeno questo libro(detto indicandolo), quindi… Poi, in definitiva, chissà quanto riuscirò a leggerne. ” Era già in autobus, quello notturno o quasi, con pochissimi compagni di viaggio(condizione ideale per leggere, dormire, fare di tutto, ma…), ma pensava a tutt’altro, ai problemi di cuore(nel doppio senso), alla sua faiblesse cronica, a qualche crux philologica, che ora non avrebbe più ripreso, forse… .

I dolori non erano cosa da poco, qualche volta si faceva sentire-rifaceva capolino anche il fantasma di Mur(no, non Moore Henry,  il grande scultore, di cui da ragazzo aveva visto una mostra non capendoci nulla o ben poco, neppure quello dello stevensoniano “Treasure Island”, no,  ma proprio Mur, Harry Mur o come voleva-soleva chiamarlo…il suo compianto amico amante dell’ex RDT, del KGB, quello del ritratto di Stalin sopra il letto…), era tutto così complicato, non sapeva..  Quand’ecco l’ombra di qualcuno/a, che si disperdeva nella curiosa nebbiolina del posto(colline fiorentine, ma…potrebbe essere altrove, per quel che conta, nell’economia del racconto). Aveva provato a tener dietro al passo, ma non ci riusciva, pur essendo un pedone nato(in quanto sprovvisto di mezzo, non automobolista, per dirla litoticamente), per la debolezza di cui sopra e prima… Un bel disastro, perché la curiosità riempie di sé tutto. Certo, “the time of wine and roses”era passato(si fa ovviamente per dire, essendo il nostro un rigoroso astemio, ma le rose, magari…), ma l’imprint sì, quello era rimasto… Qualche giro ancora, ma la speranza al secondo mini-tornante(a piedi, si ripete)era ormai bell’e passata. Rimaneva, però, una strana scia bianca, anzi, à mieux dire, grigiastra… Un odore, anche, quasi un profumo(?), ma era troppo aduso a considerazioni sinestesiche(tipo Proust, tipo madeleinettes)per lasciarsi ingabbiare. Qualche altro giro à rebours, per ritrovare le tracce.  E finì a teatro, come gli toccava almeno una volta alla settimana.

(Eugen Galasso, 31/01/2009)

Nido d’ombra

Il re non ha più corona né uno scettro.
Timido il rondone paziente
col suo beccuccio d’oro
intreccia fili di paglia,
legnetti ed erba
ed il suo nido d’ombra
al sole affida.
Anch’io mesta e gioiosa
seria sorrido
e in questa antinomia
guardo nel buio
con la vista
modellata dalla Luce.

Alessandra Vettori

Miniatura della versione delle 16:57, 2 mar 2005

 

Riflessione filosofico-poetica dell’amica Serenella Masi

Cara Serenella, quando scrivi le tue parole arrivano al cuore e, se mi posso permettere, sembrano scolpire l’aria. Scrivi, ti prego, non smettere mai di scrivere.

Intanto io ai lettori del blog, presentar voglio questa lettera tua. Con stima e rispetto, all’anima di Apollonio di Tiana.

Cara, carissima Ale,

rispondo subito al tuo primo messaggio in attesa di ricevere l’altro. Ti immagino seduta al tuo computer, intenta a comporre il tuo articolo e ho quasi paura di disturbarti, interrompere la quiete in cui prende corpo il tuo lavoro. Nel cuore mi risuonano le parole che hai scritto:così affettuose e sincere, chiare e lucenti come  limpida sorgente. Sai che io tengo tanto alla tua amicizia, alla tua stima, perché stimo la tua intelligenza, il tuo essere sensibile, la tua scrittura che fiorisce nelle pagine con il sorriso argentino di un fanciullo. Il tuo filosofeggiare, come  lo chiami, è espressione di un animo nobile, che non ha perso la purezza di un’età fanciulla e mi fa tornare in mente di quando anch’io, ragazzina, manichea come te, incapace di mediare tra le contraddizioni e le malvagità di una vita in salita, mi rifugiavo nei miei sogni, nei miei studi che, guarda caso, avevano proprio a che fare con la filosofia. E’ questa la materia che poi ho scelto di studiare negli anni dell’università, ricercando in lei il conforto e l’evasione da una realtà nella quale tante volte non mi riconoscevo. Ero solitaria e sognatrice e, come il tuo Silvano, avrei voluto anch’io andare per boschi e distendermi lungo le sponde fresche di un rivo serpeggiante, restando per sempre lontano, lontano. La tenebra e la luce, la scala degli angeli che sale al cielo, … ma subito, mi ritraevo, ombrosa,  diffidente, perché mi pareva che la tenebra prevalesse sulla luce, oscurandola e che la scala degli angeli si interrompesse prima di raggiungere il cielo. Eppure, nel mio ritrarmi, non smettevo mai di vedere, nell’altro, l’amico che cercavo, un battito di ciglia, un palpito leggero che comunicasse empatia, la corrispondenza di un comune sentire. Non è stato facile affrontare il mondo con questo bagaglio di fiduciosa ingenuità ma, come un tappo di sughero che ostinatamente galleggia, ho provato a superare scogli e gorgoni, sirene e giganti, sigillandomi dentro le mie ferite. Mi è rimasto l’animo fanciullo e con quello la convinzione che la malvagità degli altri, l’ invidia, che come scriveva Voltaire, è il peccato capitale, la stupidità e la inettitudine la volontà di usare sugli altri quel potere diabolico, che come tu magistralmente scrivi, porta i malvagi a credersi onnipotenti, nulla possono alla fine contro la purezza di un ideale, la forza adamantina di chi non ha fatto del male e agisce nel giusto, con rettitudine e senso di onore. In fin dei conti  io credo che la stupidità conduca ad essere malvagi, la stupidità di voler ridurre al proprio piccolo orizzonte meschino un universo che non ha confini. Poveri coloro che non riescono a trovare nella loro povera mediocre esistenza un’ occasione di serenità, un motivo di soddisfazione, un interesse sincero; che la stupidità  sterile porta a invidiare e a macerarsi nell’invidia. Opponi loro la forza del tuo sorriso, della tua limpida intelligenza. Chi scrive pagine belle come le tue, chi ha ricevuto come te il dono divino della parola, è forte e inattaccabile, può far sì che quel mondo di rancori e di meschina ipocrisia  rovini addosso ai suoi meschini artefici, seppellendoli tra un cumulo di macerie.

Un abbraccio forte, da amica,

SERE

Raffigurazione su moneta di Apollonio di Tiana


presentazione libro di Eugen Galasso – Invito

Il 27 gennaio 2009

Andrea Papi presenterà  il libro Soffi di vertigine di Eugen Galasso.

L’attrice Natascia Macchniz proporrà una lettura interpretativa del testo.

Inizio ore 20 , via dei Conciatori n. 2 rosso, Circolo CAF, Firenze

Dopo cena verrà proiettato il film Si può fare di Dario Manfredonia con Natascia Macchniz. Il film tratta in modo intelligente della problematica dell’antipsichiatria, anzi meglio delle cooperative di”pazienti”, che sono sorte subito dopo l’approvazione della legge Basaglia. Da apprezzare, il film, che oscilla tra commedia e dramma (a tratti tragedia), senza seguire stereotipi filmici tipo “commedia all’italiana” o simili.

Cuento II di Eugen Galasso

Escrito de
un
enfermo(cuento): 
Sì, certamente la cassa era nera, proprio come la pece. Che cosa contenesse,
rimaneva un segreto. Se il mistero della felicità(???), l'”I Ching”o
magari i”Manoscritti di Qumran”o magari quelli gnostici di Nag
Hammadi, in un’edizione migliore(?)oppure semplicemente un forziere, ai
proprietari della soffita non importava molto. Ciò che li spingeva, invece, a
proseguire la loro ricerca, semmai, era la curiosità, il
pungolo”continuo”, delirante, come una sorta di basso continuo che gli
rompeva, se non proprio la testa, almeno i timpani… Una ricerca, que^te,
infervorata, pur in questi”homines mechanici”, secondo la definizione
riportata in seguito, devastante, per parametri normali-consuetudinari,
“brucianti”, almeno secondo la percezione più immediata. 
Non  dava loro tregua, appunto. Fantasticherie assurde,”
visioni”, un baluginarie di immagini proiettive, quasi… Il fatto è che
poi i diversi attori(e attrici, ma la differenza di genere qui non c’entra
punto)volevano litigare accapigliandosi sul”morto”(il baule,
insomma), cosa che in gran parte si verificò. Ma poi la questione era un’altra:
aperto il baule, come ripartire questa sorta di”eredità”, de
herencia, di cadeau de Dieu(eredità in senso proprio assolutamente non era,
comunque, eventualmente l’altra ipotesi è da prendere in considerazione…)?
Altro che querelle, una vera lotta, come ci si poteva aspettare, anzi era
proprio un bellum omnium contra omnes: altro che macropolitica, teoria dello
stato, come in Thomas Hobbes, i conflitti s’iniziano probabilmente a livello
micro, poi passano al macro, o meglio li estendiamo a questa dimensione.
Insomma, proprio qualcosa di curioso, direbbe qualcuno; in realtà, forse di
normale. Ma poi, come  fatalità volle, anzi meglio la causalità, si passò
ad aprire il tutto, con sforzi non da poco(ci sarebbero voluti raggi
iper- laser o meglio  laser da ultima generazione, per evitare
il”meccanicismo”più brutale, la meccanicità più spinta )…
Sorpresa, perché dapprima non si vedeva nulla, con tanto di commenti di
stupore, di meraviglia, ma con qualche improperio da parte di qualcuno, qualche
poco urbano jurons(ma chi ha mai detto che fossero poi tanto urbani, i
detentori del baule o della cassa, che dir si voglia?). Erano sicuramente
condizioni curiose, potenzialmente anche pericolose, ma un
effetto”certo”o”verificabile”era comunque
imprevedibile.Fatto sta che, terminata l’operazione, dopo una sorta di grande
fiammata di luce, ci si vide un prisma in cui tutti vedevano quanto volevano
vederci o almeno ci vedevano(da buon prisma, d’altronde…)qualcosa di diverso,
di”nuovo”. Tutte le opzioni dette sopra(con personaggi che
dei”Ching”e dei manoscritti citati non sapevano proprio nulla, che si
misero a pontificare su tutto e su altro, ove possibile), ma anche altre. Ci si
vedeva il “Popol Vuh”, ma anche cose molto più banali, materiali,
iliche, come del resto un po’ era da attendere…Per non dire di tesori perduti,
rubati da(peraltro abbastanza improbabili)pirati,  di forzieri scardinati e
di teorie anche molto più fantasiose, che naturalmente non erano state
elaborate dalle “persone”in questione, ma da quelle coinvolte in
seconda, terza, quarta e n-battuta.   Un prisma continuo, che
si”chiudeva”solo con la chiusura del baule, ma che ri-compariva non
appena ri-aperta la cassa. Una specie di dis-fonia, di-stonia, dis-apparizioni,
dove ogni definizione sicuramente è inadeguata, certamente”curiosa”.
Questo racconto non ha un finale: non c’è scoperta di nuovi Graal, di nuovi
scrigni del sapere, ma forse qualche spiraglio si va
aprendo…   

Eugen Galasso

Cuento I di Eugen Galasso

 

Il filosofo
e la cupa-cupa:        “Certi nomi,
però, sio(ovviamente trattasi di autocensura, mio zio è scemo,
ma…) Cannibale… ”  “Ma che cosa dici?”  
“Ma no, porque…” (il parlante starnazzava, non era capace
di interloquire)  “Un ti capisco mia, Maremma…”  “Forse,
però, creo ke se posa…”  “Sì, ma che hosa,
Madonna..:”    “No, porque, salo…” “Ma,
insomma, solo frammenti di parole per non dire poi nulla, nulla, Maremma…
”  “Sì, porco can, ma lu me trata mal”   
.SOlo l’antefatto di una storiella, per presentare brevemente la storia di un
filosofo, serio e serioso(oddio, quanto può esserlo un toscano, cfr. il grande
Curzio Malaparte di”Maledetti Toscani”)alle prese, qui, con uno
strano parlante-lo rileva il gergo usato, strana commistione di veneto e
spagnolo, ma non ci faremo fuorviare.  Eccolo invece, il”nostro”,
alle prese con altri/altro. S’avvicina un essere coperto di piume, che però non
è un uccello identificabile dalla tassonomia ornitologica nota.
L'”essere”s’avanza, fa uno strano suono e comincia un canto lamentoso
e curioso: “La cupa-la cupa….   “(almeno 3 strofe in un dialetto
incomprensibile) . Il filosofo toscano: “Ma un ti hapisco mia, sai. Dove
hai studiato, hai letto Hant?”  L’essere indistinto continua. 
“Ma un so mia io home si fa, con sherti elementi, la miglior hosa
la sarebbe, Maremma,  di buttarli fuori, Maremma bua…”
“Ma che cosa sta dicendo..”  “No, l’era hosì. l’era un
pour-parler…”.  Ormai infastidito, il filosofo fa un giro largo,
onde evitare il suo scomodo”compagno”, ma questi gli si ripara
davanti:  “Ma non crede che abbia diritto di vivere anch’io?”
” Se si tratta di diritti soggettivi o oggettivi un so, ma hredo…
”   “Ma io rappresento la fantasia, la creatività”
“La hrea..Ma hhe l’è?Ma la fantasia, la hreatività sono elementi
estrapolabili solo dalla realtà, che la nostra rashione honoshe, Maremma”  
“Ecco con la lezione. Ma io voglio solo volare, sognare…” 
“No, un shi siamo mia, sa. QUi si tratta di lavorare, essere produttivi,
come insegnano paesi che si ispirano alle dottrine materialistico-storiche, quelle
di Carlo Marx e dello Engels, dove si lavora, sa, un si fan mia guai come
Lei”(si noti che il filosofo passeggiava e non faceva altro, quasi tutto
il giorno)  “Ma io veramente….volo”  “Volare…oh
oh. Maremma he elemento, questo hui. Ma se hontinua a rompere hoglioni, huasi
huasi hiamo huelli della Hièsa, he gli rompa alloro, Maremma….
”   “Ma non la capisco. Io ero qua pacifico e Lei mi dice
che rompo le scatole, che sono molesto”.   “Altro he.
Se hontinua io hiamo la Protezione Animali ma anche L’accalappia…” 
“Ma no, ma non ha capito, io non sono…”  “Ma hosa, LEi
non è…Sicuramente è un rompiho…Ah, mi scusi, signora” (era
passata una signora, ovvio).   L’essere si ri-attrezza, improvvisando
un invero goffo volo. Il filosofo guarda, considera:”Sherto hhe in un
mondo more geometrico demonstratus, come dishe il grande Spinoza, un l’è mia
possibile, he un grullo come huesto possa fare huel he
gl’aggrada”  L’essere canta: “Ora non suona più l’arpa
birmana, manco più i rintocchi

della
campana”    Il filosofo, che si è distanziato:  “Ma
un so… L’è anhe poeta, ora…Poeta un so, grullo
senz’altro. ”  “Libertà vo’cercando ch’è sì cara,  ma
non ti lascian più nemmen la tara”(sempre cantato)” “Neanche
Dante in pace, Maremma…”  (filosofo se ne va, intanto
suono”Cupa Cupa”e molte piume che volano in alto).  Eugen
Galasso

 

Qualche satira, per cominciar… e una poesia sul Mare, per finire… di Eugen Galasso

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Si struscia un idillio/Riattacca un epillio/ Rinfocola contrasti/Rinnova poi trambusti/Incorniciando sonetti/declamando quadretti/Non tocca le balene(e manco le falene) carezzando Irene   (Eugen Galasso, 27/12/2008)

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Modius est:  Classici non rovinare/Valori non far franare/Rispetta valore de’grandi/”Dugento”, meglio!/ Dante a memoria o quasi/Sofocle nel testo/ Cicerone, un conservatore illuminato/Quelli d’ora politici spolpati/Necesse est Catonem tenere/ Forclusione di molti/Condivisione di troppi/Un salotto ci vuole/Andare in mezzo al popolo/Ma tenersene alla larga/”Non sono separato da mia moglie”/Ogni tanto cedo alle voglie/ Moggio, non maggio, mala suerte(Eugen Galasso, 03.01.2009)

Brigidus est:  Voti alti cattivo insegnamento, voti bassi buono/Socrate studiare, Eraclito/Ma scusa, sai, tu c’hai messo il dito?/Pedagogisti non voglio tra i piedi/Ma per poter studiare e capire…/ Diverse forme d’intelligenza/”Bubbole”/ Sempre pessimi insegnanti, sol io…/ Diverse forme..   E chi lo dice, saper lo vorrei…/E l’intuizione, che ruolo gioca?/ Ma de che? (Eugen Galasso, 03.01.2008)

Il fait froid, mais…:  Frigus/ Sempre ancora Monsieur Winter/Altro che temperatura risalente pianeta riscaldamento generale, peligro/ Ma allora ben rimane droit de re^ver/ Playas assolate/Se possibil, di gente non ripiene/Mari azzurri poi forse  (Eugen Galasso, 04.01.2009)

Trilogia di Kieslowski di Paolo Fusco (Bleu, Blanc, Rouge)

Non so se Kieslowski conoscesse l’antroposofia, se conoscesse l’opera del dottor Steiner, ma forse non è molto importante saperlo. Come dice appunto il dottore, le verità spirituali agiscono comunque sulla nostra anima, che noi le riconosciamo come tali o meno.
In “Come ritrovare il Cristo?” il dottore esamina il percorso della vita fisica terrena alla luce di tre qualità e di come si succedano nella loro opera sull’anima umana. Le tre qualità sono: uguaglianza, libertà e fraternità, ossia i tre motivi ispiratori della trilogia di Kieslowski “Trois couleurs” (nonché principi della rivoluzione francese). Il regista polacco dà una lettura molto particolare e personale di questi tre principi. Possiamo azzardare un parallelo con la scienza dello spirito e tentare una rilettura della trilogia di Kieslowski in chiave antroposofica.
Bleu (libertà)
La libertà è minima alla nascita ed aumenta nel corso della vita, raggiungendo il massimo alla morte. L’uomo la sviluppa quindi principalmente nella seconda metà della vita, a meno che non si lasci influenzare dagli influssi arimanici (che operano appunto maggiormente in questo periodo). La metà ideale della vita è anche il momento in cui l’impulso alla fraternità raggiunge il suo massimo, e il momento in cui si ha la “morte animica”: il momento oltrepassato il quale non è cioè possibile evolversi ulteriormente a livello animico solo in virtù di esperienze fisico-sensibili spontanee. Da questo momento in poi, per continuare ad evolversi bisogna volerlo: bisogna effettuare una scelta consapevole e intraprendere un cammino occulto. Condizione necessaria è accogliere il principio del Cristo. La figura del Cristo stesso sul Golgota rappresenta questo momento di metà-vita. Egli sperimentò la vita fisica fino al momento di massima effusione del principiò della fraternità e poi morì lasciando allo Spirito Santo il compito di effondere il principio della libertà. Questo momento si identifica quindi idealmente con i 33 anni, anche se il dottore ci fa presente che con l’evoluzione, questo momento si sta progressivamente anticipando.
Julie, la protagonista di Film Bleu, ha appunto 33 anni, è credente (porta una catenina con una croce), così come lo era Kieslowski, e quindi sicuramente può essere considerata come un’anima che sta acogliendo l’impulso cristico per sviluppare il principio della fraternità e della libertà.
Il film ci presenta anche come la protagonista sta comabttendo con le forze arimaniche. Julie venderà tutte le proprietà del defunto marito, lasciando il ricavato in un conto corrente di cui non ci è dato di conoscere la natura. Sappiamo solo che non lo userà lei personalmente. Successivamente modifica questa decisione addirittura in favore della ex-amante del marito, in attesa di un figlio, donandole la sua casa, in tutta risposta alla domanda di lei “Ora mi odierà?”. No, in questa anima non c’è davvero spazio per l’odio. Anche la decisione assai più radicale di “non fare più niente” nella vita, nessun lavoro, nessuna relazione, nessuna occupazione, può essere letto come una lotta radicale al mondo fisico in quando portatore degli influssi arimanici che, come dice Julie “Sono tutte trappole”. Un cammino verso la libertà dunque quello di Julie, libertà fisica e antroposofica di chi vuole chiaramente dare un taglio netto al proprio passato e iniziare una nuova vita. Una sola cosa resta, del “vecchio mondo”, qualcosa che, suo malgrado, Julie non può (forse non vuole?) allontanare da sè: la musica. Musica che ha una parte determinante nel progetto di Kieslowski, affiancato qui come in altre sue opere dall’amico compositore Zbigniew Preisner.
Le doti, specialmente quelle artistiche, sappiamo, sono di origine luciferica (e come tali tendono a svilupparsi nella prima metà della vita). Sono le cause principali della perdita di uguaglianza tra gli uomini, che nascono tutti uguali, in quanto esseri spirituali, ma che poi la vita terrena rende diversi.
Kieslowski pare voglia suggerire una riflessione ulteriore proprio riguardo all’uguaglianza. Per sua stessa ammissione, l’episodio del clochard che suona il flauto per la strada, ed esegue la stessa melodia composta da Patrice (o Julie) nel “Concerto per la riunificazione d’Europa”, vuole essere un invito a riflettere sul fatto che in fondo, nonostante le differenze di posizione sociale e di cultura (differenze cioè della sfera fisico-materiale), siamo tutti uguali. Quelle stesse note – dice Kieslowski in un’intervista, sono là da qualche parte, e aspettano di essere suonate, da chiunque (dal compositore Patrice come dal barbone). È un’uguaglianza anelata più che reale. Se come dice il dottore, l’uguaglianza è massima al momento della nascita, in quanto retaggio della vita spirituale precedente, allora il desiderio di uguaglianza contiene anche un aspetto di nostalgia pre-natale. Viene a questo punto da domandarsi se sia un caso che il barbone in questione viene inquadrato ad un certo punto del film, mentre dorme sul marciapiede rannicchiato in posizione fetale; e Julie stessa in piscina si tappa le orecchie per non udire la musica che emerge dalla sua interiorità e assume nell’acqua la stessa posizione fetale.
Qui, la musica – sembra dire Kieslowski – è ciò che può renderci uguali (addirittura può “riunificare” tutta l’Europa!) e come tali, ci rende tutti come bambini.
Inoltre, quella stessa musica che Julie inizialmente voleva distruggere, e che la copista ha salvato contiene una partitura corale il cui testo cantato in greco (Prima lettera di S. Paolo ai Corinzi, 13, il cosiddetto “Inno alla carità”) è la prova più evidente di cosa significhi accogliere l’impulso cristico e con la forza del Cristo operare un equilibrio universale tra forze luciferiche ed arimaniche. Agapé (nel testo biblico è tradotto “carità”, da Kieslowski “amore”), è in effetti il termine greco per “amore caritatevole”, ciò senza il quale l’uomo non è nulla, come dice San Paolo. Questi è stato uno dei più grandi iniziati dell’antichità, un uomo che ha compiuto un grande cammino interiore, a cui idealmente l’anima di Julie pare riferirsi come intimo ispiratore e guida spirituale.
Blanc (uguaglianza)
I nessi con la scienza dello spiritio qui sono più nascosti. Parlando di uguaglianza, secondo quanto dice il dottore, si dovrebbe parlare di bambini (l’uguaglianza è infatti massima alla nascita, e diminuisce poi nel corso della vita fisica). Apparentemente in Blanc non ci sono bambini. Ma a ben guardare il motivo della nascita è ben presente, e affiancato sempre da quello della morte, tema su cui Kieslowski era particolarmente sensibile. Sappiamo dalla scienza dello spirito che la nascita fisica si può ben guardare dalla prospettiva del mondo spirituale come una morte (si spengono certe facoltà spirituali e si discende nel mondo della materia), e al contrario la morte fisica è per il mondo dello spirito una sorta di nascita. Per non parlare poi del tema della reincarnazione che vede succedersi temporalmente morte e nascita in un continuo alternarsi. Due sono gli eventi simbolici in Film Blanc che rimandano al binomio nascita-morte. Per Karol c’è un vero e proprio viaggio (rocambolesco) dalla Francia alla Polonia, che compie chiuso in una valigia, in una posizione fetale che ricorda appunto il concepimento. Una volta giunto in Polonia egli, di fatto, rinasce a nuova vita. E qui può dimostrare (a sè e al mondo) di essere – in fondo – uguale a Dominique: non inferiore per capacità, non meno scaltro, non meno intelligente, persino non meno arrogante. Ecco il tema dell’uguaglianza che la nascita porta con sè. L’altro evento, benché riferito ad un personaggio secondario (ma in Kieslowski pochi ruoli normalmente definiti tali si meritano realmente questo epitaffio) è, di contro, simbolicamente ancora più carico. È la vicenda di Mikolaij, che addirittura “passa” simbolicamente attraverso una morte fisica, quella morte che egli ha cercato e che l’amico non ha saputo infliggergli nei sotterranei della metropolitana di Varsavia, e che di fatto, anche in questo caso, lo fa rinascere a nuova vita. Non è forse il ritratto di due bambini che giocano, la scena della loro bevuta sul lago ghiacciato? E poi c’è la finta morte di Karol, inscenata per colpire la ex-moglie e che, nuovamente, lo fa “rinascere” ancora, una terza volta. Qui cambia addirittura dati anagrafici, e in questa nuova vita sconfingge persino l’impotenza che lo aveva accompagnato da quando era in Francia. E si riscopre, alla fine, l’amore. C’è come una sottotrama in Film Blanc che pare volerci ricordare che se da un lato (antroposoficamente) le doti e l’intelletto personale (doni luciferici) sono ciò che può far venir meno l’uguaglianza atavica che ci portiamo dal mondo spirituale alla nascita, dall’altro sviluppando l’amore possiamo riconquistare questa uguaglianza di fondo. Per Kieslowski, polacco di nascita e francese di adozione, il tema dell’uguaglianza accoglie anche un aspetto politico-patriottico, e i due lati della medaglia – Francia e Polonia – sono appunto le immagini di due realtà (Dominique in Francia e Karol in Polonia) che appaiono così diverse solo ad un occhio superficiale, ma che, animicamente, sono uguali (un discorso a parte meriterebbe il parallelo con l’altra grande opera di Kieslowski dove la coppia Francia-Polonia, e il concetto di uguaglianza arrivano ad essere espressi addirittura in una individualità animica che vive, quasi contemporaneamente, due vite terrene in due corpi distinti: La doppia vita di Veronica).
Rouge (fraternità)
Dei tre, questo è sicuramente il film più complesso.
Attraverso l’esperienza del giudice, Kieslowski pare voglia suggerire una riflessione sul concetto del pareggio karmico delle azioni umane. Chi è il giudice per elevarsi al di sopra degli altri e arrogarsi il diritto di giudicare? Solo l’incontro col Guardiano della Soglia ha il compito di “chiedere il conto” karmico delle nostre azioni. Nessun altro. Assolvere qualcuno che si è dimostrato colpevole (per la legge degli uomini) e scoprire, come ha fatto il giudice, di aver fatto la cosa giusta è un’esperienza che deve far riflettere. Potrebbe essere degna di qualcuno che vede con gli occhi dello spirito, che ha ormai vinto l’egoismo e le tentazioni della vita materiale. Invece il giudice cade nuovamente nella trappola: deve giudicare colui che gli ha rubato la donna. Il caso è giuridicamente semplice, e l’uomo è chiaramente colpevole. Ciononostante il giudice dopo questo episodio chiede di ritirarsi, come a dire: d’ora in poi non voglio avere a che fare col conto karmico di nessuno: non fa per me. La decisione sembrerebbe (antroposoficamente) saggia. Il giudice deve averla maturata più o meno a metà della sua vita, cioè nel momento in cui il dottore ci dice che siamo più propensi a sviluppare l’impulso alla fraternità. Ma, non dimentichiamo, se l’uomo non accoglie il principio del Cristo, difficilmente può sviluppare la fraternità ed evitare di cadere negli influssi arimanici che lo attendono nella seconda parte della vita. Al giudice sembra essere accaduto proprio questo: si allontana sempre più da quella fraternità che potenzialmente avrebbe potuto sviluppare e arriva all’estremo opposto: prende a spiare le conversazioni telefoniche dei vicini, con freddezza e sarcasmo. Finchè incontra Valentine.
Chi è questa donna? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare il personaggio di Auguste, uno di quei personaggi secondari che, come si diceva, in Kieslowski “secondari” non lo sono mai. Auguste è il giudice stesso con quaranta anni di differenza. È colui che potrebbe diventare come il giudice, con cui condivide in parte le esperienze di vita (anche lui perde la donna amata che lo lascia per un altro). Ma c’è un altro episodio (secondario?) che li accomuna: l’episodio di un libro di testo che, cadendo, si apre alla pagina relativa all’argomento su cui poi verterà l’esame universitario. È significativa questa correlazione tra i due. Parrebbe un segno, inviato dai mondi spirituali, per far riflettere. Il giudice ed Auguste sono due immagini speculari di un unico destino umano: Auguste ritratto nella prima metà della vita, il giudice nella seconda. Sono speculari quindi rispetto alla metà della vita, ed al momento di massima effusione del principio di fraternità. Come a dire che Auguste deve ancora, potenzialmente, sviluppare la fraternità in quanto non ha ancora incontrato l’impulso del Cristo; il giudice invece ha perduto la sua occasione. Qual’è l’occasione mancata per il giudice? Forse il non avere incontrato, a suo tempo Valentine. Irene Jacob stessa in un’intervista, parlando del suo personaggio afferma che “se Valentine fosse vissuta quaranta anni prima, lei e il giudice forse sarebbero stati una bella coppia”. Eppure, ciò che non è stato possibile per il giudice può esserlo per Auguste. Auguste e Valentine vivono l’uno di fronte all’altra, e per tutto il film le loro strade si sfiorano, si incrociano, senza incontrarsi mai apertamente. Solo l’epilogo drammatico del naufragio del traghetto sembra voler suggerire un possibile incontro dei due. Qui infatti vengono presentati, due alla volta, le “coppie” dei protagonisti della trilogia: Julie e Olivier, Karol e Dominique. Due coppie a tutti gli effetti. Cosa hanno a che vedere con queste coppie Auguste e Valentine? Forse potrebbero essere ciò che Valentine e il giudice non hanno potuto essere, o forse, per tramite di questo evento che il giudice osserva in tv, anche lui può avere una seconda possibilità di redimersi.
Ecco allora che Valentine acquista una identità simbolica precisa. Esprime appunto quell’impulso cristico di fraternità che fa da perno centrale nella vita di ognuno, quell’impulso che muove verso ognuno di noi per incontrarci e che ognuno di noi può riconoscere o meno, liberamente.
L’episodio della visita di Valentine ai vicini del giudice è quanto mai significativo. Il giudice mette alla prova Valentine, come a dirle che la sua bontà non può nulla contro il male del mondo, per lei in quel momento rappresentato proprio dalle intromissioni del giudice nelle conversazioni telefoniche. E inizialmente pare proprio che sia Valentine ad uscire sconfitta: non può confessare alla vicina ciò che sta facendo il giudice. Perché? Anche qui Kieslowski pare riferirsi idealmente al concetto di pareggio karmico. Tutto sommato ci piace pensare che è in seguito all’incontro con Valentine (e ciò che ne consegue a livello animico) che il giudice decide di auto-denunciarsi. Se fosse stata Valentine a denunciarlo ai suoi vicini, gli avrebbe di fatto precluso anche questa (seconda) possibilità di redimersi. A volte non denunciare un colpevole può risultare la scelta migliore, perché gli si dà la possibilità di rimediare da solo alla propria colpa. E guarda caso è la stessa cosa accaduta al giudice stesso anni prima. Ed è proprio in questi paralleli nascosti che si esplica l’idea di fondo della fraternità. Kieslowski pare volerci ricordare che, pur oguno nella sua esperienza di vita, incontriamo tutti gli stessi dubbi, dobbiamo compiere le stesse scelte. Ed è questo in fondo, il motivo per cui dovremmo essere fraternamente caritatevoli gli uni verso gli altri, come il personaggio di Valentine esprime in ogni momento.
Epilogo: il naufragio
Al termine di Rouge, il giudice osserva alla TV la notizia del naufragio di un traghetto sulla manica. Solo poche persone vengono tratte in salvo. Sono i protagonisti della trilogia: Julie e Olivier, Karol e Dominique, Valentine e Auguste. Irene Jacob in una intervista ha detto “mi piace pensare che questi personaggi sono stati salvati dal pubblico: il pubblico si è interessato a loro e così li ha salvati”. È una considerazione bellissima e dopotutto – credo – molto antroposofica.
PAOLO FUSCO

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