Poesiola tragi-comica

Di forni non ce ne sono più

mi dice l’attempato funzionario

delle funebri pompe, l’abitudinario.

Possiamo mettere, se vuole,

il morto dentro al forno di famiglia, dice,

tutto contento.

Certo, non di sol pane vive l’uomo, io dico.

Ci starà? Domando e al tempo stesso  sudo freddo,

debbo rispettare le sue volontà,

del morto intendo dire,

ho paura che ne facciano poltiglia

(dei restanti parenti defunti, intendo dire),

giacché la bara occupa volume.

Non si preoccupi, fa lui d’un tratto un po’ distratto,

prende un signorile martelletto,

con serio impegno

scalza la lapide del forno.

E infila il feretro e accanto le cassette

o urne un tempo nobile lontano

chiamate, denominate, con sacrità

rammentate.

Le cassettine di piombo, disposte come puole,

accanto al grosso feretro, si senton piccoline,

cercano di far posto, poverine,

si asserragliano come mele nel cestino.

Lui, comincia a dare martellate,

sempre più forti, tanto che nell’Ade,

tali rumori vengon scambiati

per lacrime di chi non vi è già più.

Continuano le martellate ( come battiti di cuore

di Poe-narrazione memoria),

per far entrare tutti degnamente là dentro:

ecco fatto, mio caro signore,

esclama tutto soddisfatto,

non si potrà lagnare,

di questa bella riunione familiare.

O caro Ugo!

Hai visto che drammatica lezione

l’uomo moderno vuole darti,

per chiarire in qual modo

gli Avversari dell’Umanità

ispirano pensieri morti

sulle sopravvivenze corporali?

Ti prego, se ci ascolti,

col tuo sentire forte e melodioso,

emana dal luogo ove ti trovi,

nuovi versi sulla memoria

vivente di chi ha calpestato

un giorno il suolo terrestre

ed ora vuole essere solo Ricordato

per come fu e per come è diventato.

(Juan de Flandes, Resurrezione di Lazzaro)

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