Coraline e la porta magica Visto da Alessandra Vettori

Perdiana, che fiaba! Nera come la pece, non soltanto nuda e cruda, ma alludente a una forma di Male davvero inquietante….

Qualche spettatore aveva gli occhi stupiti, voglio essere sincera, nel guardare questo film d’animazione che provoca paura come qualsiasi fiaba nera di ultima creazione, ma lo stupore rende la visione agghiacciante per un motivo fantastico abbastanza innovativo e cioè i due bottoni neri che dovrebbero funzionare come occhi.

Ora, questi occhi che noi vedremmo in un orsetto di peluche come dolcezza infantile incorporata, qui nel film, appaiono strumento di una visione: si deve vedere nel modo che aggrada alla Grande Madre Nera, una sorta di Mamma Ragno terribile, che circuisce Coraline, bimba undicenne già dedita di suo ad attività magiche un poco insolite in una fanciullina, e vuole essere amata per forza da lei.

La trama del film è interessante, il romanzo di Neil Gaiman che ne sta alla base ugualmente; colpisce il voler imporre una visione interiore e obbligare l’altro ad amarci.

Ciò presuppone un concetto di Male altamente evoluto, che sta ad attenderci alle soglie della coscienza e supera di gran lunga il male che fino ad oggi molti di noi sono abituati a considerare e che funziona in relazione all’idea morale di bene e di male.

Si va oltre l’idea morale di bene e di male, si va oltre al male voluto implacabilmente e a questi due aspetti se ne va sostituendo un altro: volere l’annullamento dell’altro per fare vivere il nostro io, senza una motivo, soltanto per il piacere di poterlo fare.

Vogliamo ammettere la possibilità che un bambino, nella nostra epoca, debba crescere conoscendo il male attraverso la fiaba. Noi siamo uomini moderni e le immagini debbono necessariamente cambiare, se ne devono poter creare altre, perché i tempi sono cambiati, sono diversi. Il lupo, il mago, lo stregone ecc., possono essere benissimo sostituiti da un Aracnide Maligno e contorto, metallico, ferroso, come la nostra dimensione, basata sul ferro, l’acciaio e così via. Il ferro tuttavia non parla (a parte ne Il Mago di Oz), non ha una un’anima, non ha uno Spirito, mentre quello del film è astutamente intelligente, ha vita propria, vive rubando la vita, l’energia creatrice, la volontà. Come agisce? Come se su una fotografia si abbattesse a riprese e in modo continuativo uno spillo, fino a cancellare l’immagine e la sostanza dell’immagine, cosicché ciò che si è rubato non possa più essere ripreso e recuperato….

Beh, fermiamoci qui, per adesso. Posso soltanto testimoniare che l’atmosfera di angoscia cupa e di non ritorno e di caricaturizzazione della figura umana e l’inquietante inquietudine provocata dalla pellicola, rende confortante tornare alla propria realtà quotidiana, banale  e brutale quanto si vuole, ma dolce ancora nel suo poter esprimere umanità da tutti i pori,  anche quando, andati a letto, ci stringiamo al nostro cuscino e sappiamo semplicemente di poterci riposare dagli affanni e le difficoltà del giorno e della vita, sappiamo che il cuscino è fatto semplicemente di lana e di cotone,  ma il cuscino è morbido, oh, se è morbido.

Alessandra Vettori

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