Cos’è che mi stupisce della Parola?

Cos’è che mi stupisce della Parola?

Il Suono? Ciò che vuol dire?

Il Significato?

Forse la traettoria?

Il timbro, il tono o il ritmo?

La musicalità nascosta?

Sono figure invisibili

Fatte di atmosfere e di respiri

in mezzo ai quali

Parlano

i Silenzi.

(A Vittorio Vettori)

Allegoria del Silenzio nel chiostro del monastero di Santa Chiara a Napoli

il silenzio

bergman

Ingman Bergman ed Ingrid Thulin in una scena del film “Il Silenzio”

CURVA

Nello squarcio

formato dal tempo che si arresta

Eccomi apparire

d’un balzo

nella nuova vita

che voglio, che intendo conoscere.

Socchiudo gli occhi

– Ma sono occhi?…. O mondi? –

 E,

davanti a me, il vuoto.

E poi?

Poi, lenta descrivo l’iperbole d’amore.

 

iperbole

Carissimi visitatori di questo blog….

novalis

Carissimi visitatori di questo blog….

Benvenuti!

Presto metterò a disposizione dei lettori le mie opere già a suo tempo pubblicate e anche altre che ancora debbono esserlo.

Vorrei che questo producesse un’attivo infervorarsi di idee, di creazioni, uno scambio di vedute, di pensieri, di sentimenti, di atti di volontà…, non solo mie, ma anche vostre.

A presto!

MADONNA SISTINA

MADRE GIOCONDA.

Di memoria leonardesca il sorriso

Ma lo sguardo! Al di là dell’uomo

Che ti contempla di fronte alla tela

Ammutolito di fronte a te per

L’apparizione. Non mistica né irreale

Femminei contorni divini il pennello descrive.

Ha spezzato il legno e la setola

La bontà infinita indefinita

Del volto dolce.

Ingenuamente dolce e perfetto.

La Materia dei colori non ha pianto,

S’è sentita a suo agio con la forma,

Ma il tuo Spirito esce dalla tela,

Nel bambino ha il suo risuonare,

Non è presente nel disegno

E tu ti chiedi

Dove sia andato.

Come ti sembra, Madre, l’uomo

Del futuro?

Una casa con la finestra aperta

Sul Mondo dello Spirito

– Dici in un bisbiglio, tu non parli

Con voce umana -,

Dalla quale si affaccia, tra le tende

Di velluto infilate in nastri argentei,

Per adesso appena concepito

L’embrione

non nato,

Presente non nato,

L’insostenibile Respiro di Tuo figlio.

sistina

LA VITA

Costante, fedele e impetuosa

E calma procede nel tempo

La volontà del’azione

Che fa del dove e del quando

Il come e il perché delle cose

E calma procede nel tempo. 

lago

LE MUSE

A Ives Bonnefoy

Clio, Talia, Erato, Euterpe, Polimnia, Calliope, Tersicore, Urania e Melpomene, sarcofago in marmo (Parigi, Louvre).

muse

Avvolte. Segretamente avvolte

In un cuore invisibile

Le pene del mio Christo, insospettate.

Nel sudore, immateriale,

con l’ardore, intoccabile.

All’impulso, vitale.

Avvolte. In visi ricoperti

Di luci inspiegabili;

nelle foglie trèmule

dai rametti che tradiscono gli anni.

Dai semafori spenti, negli incroci,

negli strani crocicchi

di ricordi ancestrali

Dove spunta appannata

la Luce artificiale di fanali inanimati.

Nella mano incredula

che non vuole affetti.

Nell’inutile rincorrersi

dei ricordi meccanici.

Dai lucernari occulti

Dove s’ammassano,

disordinate,

storie finite di famiglie

in cui è nata una una donna.

Nei cognomi allineati,

sui campanelli degli appartamenti,

Stampati, esposti

come collezioni di farfalle.

Nei viali cittadini

Dove gli alberi stirano a dover

Le foglie rinsecchite

Respirando la poca luce

che passa tra le case avide.

Accolte, non viste,

Strutture aghiformi,

spuntate, lisciate.

Con i nodi dell’esistenza

Sulle reti trainate a poppa.

Con gli orologi uggiosi

Battendo cadenze misurate

Fissate, rigide, inermi.

Con i linguaggi spersi,

disciolti in vocabolari,

boccate di consuetudine,

luoghi comuni che sembrano persone

vive e vegete.

Avvolte. In visi ricoperti

Di luci inspiegabili;

dubbiose se doversi rivelare

negli incontri, prefissati,

con parole discusse.

A tristezze, invocate.

Eccole però rivivere,

in quegli incontri incomprensibili,

le costellazioni dell’universo.

Nella paglia strappando

Solo i gialli scoloriti,

i ventri delle spighe

lasciate ai ciuffi verdi.

Nelle notti ghermendo

I fiori della mia vita,

i chicchi sparpagliati,

rubati al mondo verde.

Nella fatica, quotidiana,

con insistenza, voluta.

Alla ricerca, illusa.

Avvolte.

Segretamente pòrte

In visita dagli uomini,

biglietti

di cortesia, velati.

Avvolte. Segretamente avvolte

Le pene del mio Christo,

insostenibili.

Avvolte,

rese cristallo dal dolore acceso,

puro diamante,

rosso rubino

trasformato in curve

rettilinee d’amore,

tese al confine estremo

dell’infinito suono.

Sì, avvolte nelle volte

in cui mi sento persa,

sola,

sùbito immerse

nella gioia d’essere

e asciugate al sole,

tessuti aurei

nei destini amici.

Avvolte.

IL LIBRO (da “Giano Bifronte”)

 Vennero i tempi in cui nessuno più leggeva.

Bastava allontanare la faticosa legge

Del pensare che fa applicare, con sforzo,

Fa attivare il senso d’una forza sorgiva,

Misconosciuto organo,  che fa muovere il corpo.

I libri troppo costano – qualcuno sentenziava -.

– I libri troppo impegnano, a volte troppo annoiano -.

Infatti che sudore,  che pena immaginare

Le trame, i personaggi, con la mente donare

I vividi colori al bianco e nero delle

Descrizioni, delle azioni, dei paesaggi  e ai toni

Delle macchie inchiostrate sopra i fogli di carta.

Meno male che tutti quanti sono numerati.

Non c’è tempo né agio, – si vive in fretta e in furia -,

Sono ormai implacabili le condizioni odierne,

E leggere ci stanca, allerta i nostri sensi.

Fa male agli occhi leggere, ci dolgono le braccia,

ci pesano le dita ogni volta costrette

 A girare le pagine. Per non dire del vuoto,

Che si prova nel leggere, mentre le nostre membra

Lente s’intorpidiscono. Eppoi restando immobili

Ci sorprende alle spalle il bel formicolio

Un tempo tanto amato , del pensiero che s’alza

Dal letto avvelenato dall’ozio e dal dormire.

Fu un tempo superiore, un tempo in me presente

– considerava l’uomo con gli occhi ai nostri visi –

Dandosi ben benino l’olio sulle giunture

Metalliche, ferrose, verdastre, arrugginite.

robot

 

 

 

 

Dalla raccolta di poesie “Giano Bifronte”: Logos Christo

  giano bifronte

L’amor di sé, della propria natura,

 

il punto capitale della croce

 

Dove le braccia di legno s’uniscono.

 

Umanità,

 

Hai ucciso quanto di meglio in te

 

Regnava.

 

La Luce ti ha già restituito

 

Ciò che con noncuranza hai calpestato.

 

Ecco, cammina il Verbo in mezzo a noi.

 

La Parola vive e abita in noi.

 

Il Verbo che è divenuto carne

 

E’ tornato ad essere la carne

 

Dopo averla data in pasto

 

Alle fiere.

 

Non sentiamo i giri della Terra,

 

non ne possiamo cogliere i sospiri

 

Fermando il tempo.

 

Fermi restando

 

Prima che il tempo sia.

 

Amico, me ne vado per il mondo.

 

Mi spiace, qui non voglio più restare

 

A parlare con te di perle rare.

 

Di verità rarefatte che riguardano i sensi,

 

I sogni.

 

Di nuvole, visti a spicchi, dai vetri.

 

Di volti, visti a tratti, dagli specchi.

 

Fuori,

 

– fuori, perché io sono in questo dove

 

E mi guardo dentro, in me stesso raccolto –

 

C’è un abisso di irrisolti grovigli.

 

Fuori, c’è troppa poca comprensione,

 

E stupido è sinonimo di buono

 

E di quello che sta nella parola

 

– Gli Spiriti, tu sai che penso a loro –

 

Poco di vero,

 

La convenzione.

 

Le porto in me le morti,

 

Le multiple esistenze

 

a strati addensate,

 

amate e redente,

 

I dialettismi, del sono questo o quello;

 

Di certo, amico mio, di unico,

 

C’è solo un Fondamento.

 

Io che penso, Io che Sono,

 

Sono qui, in questo preciso momento,

 

Io sono qui, senza arrendermi mai,

 

Incontrastata antitesi,

 

Sono in me, discepolo e Maestro:

 

Risorto, dopo morto, in vita.

 

Alessandra Vettori

 

Buona Resurrezione a tutti.

Opere

L’osso dell’arcobaleno, Firenze Libri, Firenze, 1989

Non toccate lo Stato, Franco Cesati Editore, Firenze, 1994.

Etica, libertà, vita quotidiana, Gangemi Editore, Roma, 1999.

“Casa della Parola”, perché? (2)

calliope

Alcuni uomini però, sempre, ascoltarono la Parola e senza nessuna paura – eventualmente solo un sacro e riverente timore – vollero raggiungere il Luogo innominabile. Sempre l’ascoltarono e dal suo calore ebbero in dono i segreti dei Suoni e del Suono.

Le Arti Liberali Medioevali, già belle e adulte, avevano vissuto la loro infanzia e la loro innocenza negli antichi Misteri, quando ancora gli esseri umani vivevano i primi istanti del tempo sulla Terra. Tra queste, parliamo per adesso della Poesia, come capacità del Suono di ri – suonare nelle anime delle per- sone, con magica purezza e meraviglia di intenti casti, con ritmi solenni terrestri che richiamavano nel ricordo spirituale i Celestiali Ritmi dell’Universo. L’Arte, grazie e Grazia della Parola, poteva e può ancora oggi farci risalire la scala che conduce presso la Soglia della Luce e se è Arte pura, ha in Sé il Bello, Il Vero e il Buono, tutto ha in Sé, perché la Parola glielo concede.

Non siete Creatori della Parola? Lo siete senz’altro se rivivete in voi tutto il processo creativo che qualcuno prima di voi, un essere umano ha potuto creare; nel momento in cui rivivete in voi questa creazione, anche voi, ri- create….

Parleremo presto delle Dame delle Arti Liberali, dell’Eterno Feminino di goethiana memoria…. Abbiate un poco di pazienza, cari lettori e qualunque scritto vogliate farci arrivare, noi qui siamo pronti per accettarlo. L’Arte ha una missione universale nel mondo e tutti concorriamo a fare parte di quel Luogo di cui prima narravamo, sempre figlia fu della Divinità.

La Poesia non deve dire, deve essere, come ebbe a scrivere a suo tempo il buon Quasimodo. La Poesia non dovrebbe descrivere Verità, Bellezza, Bontà, dovrebbe produrle.

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