A Graziano

 

L’immagine dorata che sboccia dal tuo sogno

ricca di raggi pallidi tessuti di viola,

rammenta il volo quieto dei cigni sorridenti.

 

 

Nella luce s’incontrano le tenere figure

nei nostri cuori aperti al tesoro infinito

del quale tu ti vesti, dagli arcani del tempo.

 

 

 

 

 

 

Alessandra Vettori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Natale

Piccola luce di dorata paglia

come alba si diffonde all’improvviso

e in quella grotta di memoria betlemmiana

di nazarethiana adozione

– duplice origine ebbe il Verbo Cosmico –

il nostro Amore Sacro

paffuto e roseo e divino neonato

che giace accanto al Bimbo Solare tanto atteso.

Luci soffuse di ogni colore e sfumature,

le ali trasparenti che sussultano

nel coro angelico di soavi voci

e nella Trinità che lì sovrasta,

ci siamo noi

a testimonianza

che la coppia sacra

musica delle sfere

poetici ritmi

fa risuonare,

d’amore

fa risuonare…,

e l’aurora

che torna a vivere,

fa sorridere.

 

Alessandra Vettori

Ed eri davvero tu, nella luce della luna

 

Ed eri davvero tu, nella luce della luna

e i crocicchi di dolore avevi stampati sulla fronte,

un mesto sorriso guardava le stelle mute,

attonite

nella notte bruna.

Tu, davvero, mi apparivi stanco,

il viaggio di condensate, irremovibili

tracce di umanità,

persa, in vista di un’alba feroce,

diacronica,

seppellita in foglie verdi rosse autunnali,

l’una sull’altra in monticelli friabili,

in ascolto del fruscio d’un’ala,

del cantare di un pettirosso,

del fulmineo attardarsi degli occhi

giallo-arancioni di un gatto nero,

che come un Murr di trascorse

filosofie,

sta a sentinella del tempo avvenire.

E sei davvero tu, nella luce della luna,

ti vedo risparmiare l’amore sudato

e trasudato tra gentili pannilini,

bianchi,

tu

fuggi,

ma ti rincorro io ridendo

in questo frammento di cielo,

in questo sussulto del cuore.

 

 

Alessandra Vettori

 

La Pineta di Daniela Chisci

Spazio verde, incontaminato si

impossessa di me, mi plasma con

un assordante silenzio

Cammino per ore, respiro

immagino cose, mi sento….

Daniela Chisci

Madri di Daniela Chisci

Sei qui, come sei, cosa fai?

Piccolo, fragile, dentro di me, fiore che

sboccerà senza di me, battito incessante,

stordente, prorompente; non sei e

già sei….Tutto quello che vorrei

essere e non sarò… tutto

quello che vorrei avere e non potrò.

L’unico istante in cui “saremo” svanirà

e non me ne ricorderò…

ti vedrò bello, forte, libero, solo….

Sarai in un punto lontano….

Daniela Chisci

“Andrej Amalrik”, di Eugen Galasso

Se si rilegge l’aureo libretto di Andrej Amalrik, “Sopravviverò l’Unione Sovietica fino al 1984?” (in italiano Roma, Coines edizioni e Alexander Herzen Foundation, Amstel 268, Amsterdam, 1971, mentre l’originale è di due anni  prima, aprile-maggio-giugno 1969 )ci accorgiamo subito di alcuni problemi: prima di tutto, nel volume l’allora trentenne storico(nato nel 1938, morto nel 1980 a causa di un incidente strdale, ma dopo anni di detenzione per motivi politici),  dissidente russo(sovietico, ma non per appartenenza ideologica)ci accorgiamo che le previsioni e la futurologia, talora, possono far par parte, magari con un po’di prudenza. Amalrik, storico intelligente quanto a tratti”imprudente”, individua(si parla di fine anni 1960)tre forze di opposizione all’allora regime URSS(ricordiamo che Gorbacev arriva quasi vent’anni dopo): “il marxismo-leninismo autentico, l’ideologia cristiana e quella liberale”(op.cit., p. 31). Intellighenzia, quella di questi gruppi o meglio”classe media”, come dice Amalrik stesso, ma si tratta, dice l’autore, di”ideologie piuttosto vaghe”(cit., p.32), di un corpo sociale sostanzialmente rinunciatario, che forse non sarebbe stata in grado di combattere efficaceemente il regime. IN seguito , però, Amalrik ventilava una possibile guerra tra Cina popolare e URSS, più probabile, a suo parere, di una guerra USA-URSS. Inutile dire(lo sappiamo)che non ci sarebbe stata alcuna guerra tra super-potenze, ma quella con la Cina era altamente improbabile: fino al 1976 visse Mao-Tse-Dong(nuova grafia), che non voleva la guerra neppure contro i revisionisti russi, mentre qualche anno dopo, con Hua-Kuo-Feng, c’erano i continuatori della tradizione maoista; poi con Deng-Hsiao-Ping(inizio anni Ottanta)netta inversione di rotta e il”pragmatismo”per cui(famosa frase di Deng): “Non importa che il gatto sia bianco o nero; importa solo che prenda i topi”. Un pragmatismo deciso a portare la Cina, formalmente”Repubblica popolare”nell’alveo capitalista, pur mantenendo formule e nomi di tipo”comunista”, fino agli exploits in Borsa etc. UN pragmatismo conscio dei pericoli della guerra, anzi di una guerra… che la Cina, rossa o tale solo di nome e di facciata, non avrebbe potuto “reggere”. Amalrik sbagliava, dunque? No, ragionava in base a categorie strategiche e geopolitiche pre-comuniste da un lato e adatte, piuttosto, anche per società sostanzialmente avviate verso il”capitalismo”, con argomentazioni adatte alle guerre tradizionali, fino alla Seconda Guerra Mondiale compresa: la conquista/accaparramento di fonti energetiche etc., mentre(almeno) dagli anni Ottanta in poi si affermano altre logiche, volte piuttosto al neo-colonialismo e all’imperialismo economico, ossia a quanto la Cina sta facendo (anzi ha in gran parte già realizzato) in Africa, in Asia, ma anche altrove…     Eugen Galasso

“Régine Deforges”, di Eugen Galasso

Régine Deforges(1935-2014), notissima in Francia, non è molto conosciuta in Italia, a causa della scarsa volontà di tradurre le sue opere e di proporle al pubblico italiano, considerato(oggi, mentre ciò non valeva ieri) molto diverso da quello transalpino. Femminista, audace nei suoi romanzi erotici(“Le con d’Irène”, titolo che si riferisce all’organo sessuale femminile, era stato erroneamente attribuito ad Aragon), la Deforges è però diventata celebre per i suoi romanzi storici, raccolti nella”saga””La Byciclette bleue”(la bicicletta blu)che percorre la storia di Francia o meglio del mondo francofono, ma non solo,  del 1900, dall’occupazione nazista alla guerra, alla Resistenza, alla Guerra in Indocina, alla Guerra d’Algeria, al dopo. Romanzi molto”organizzati”, dove la coppia centrale di protagonisti (Léa e François Tavernier)vive di luce propria ma fa ruotare intorno a sé tante vicende storiche, con tanto di citazioni dei personaggi storici(Pétain, De Gaulle, il Colonel Fabien, Guevara, Debré, Sartre, Camus, Jeanson, Vailland,  Salan, il generale, inquietante e affascinante, che promosse il golpe algerino nel 1961 al grido di “Algérie française”e fondò l’OAS(“Organisation armée secrète”, organizzazione armata segreta), dove, come durante la Seconda Guerra Mondiale, giganteggia la figura di De Gaulle, capace di restituire l’Algeria agli Algerini, con tutti i richi annessi e connessi, legati a certe letture del”Corano”e dunque dell’Islam iper-radicale…). Storie e storia, dove la letteratura diventa veicolo di trasmissione della storia per le generazioni più giovani, che hanno bisogno, come gli Italiani in epoca risorgimentale(ma anche oggi…)di essere”esortate alla storia”. Citazioni, s’è detto, ma anche molti dialoghi, vivaci e paratattici, che non disdegnano l’uso dell’argot(“dialetto”, “gergo popolare”)e dei espressioni anche crude e volgari. Per l’autrice l’amore è”aventure de la vie”(avventura della vita), ma in questi romanzi storici riesce a compenetrare pienamente le vicende private con quelle pubbliche, storia personale e storia “oggettiva”.      Eugen Galasso

Romanticismo inglese di Eugen Galasso

Il Romanticismo, inglese, nella fattispecie, ma “fecondato” da altre spinte(politiche, sociali, la lotta per l’indipendenza greca, mentre quella made in Italy si stava”formando”), letterarie(romanticismo tedesco(le”Maerchen”anche orrorifiche dei fratelli Grimm, i racconti”terribili” di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann etc.), filosofico-letterarie(Rousseau, ça va de soi…),  scientifiche(le esperienze “galvaniche”di Giovanni Aldini, scienziato italiano), da presenze molto reali come i suoceri”affascinanti”di Percy Shelley, Mary Wollenscraft, teorica del femminismo e di William Godwin, pensatore utopico, “anarchico”, come Claire Clairmont, “sorella”di secondo letto di Mary, una delle protagoniste di quella”mitica”notte di giugno 1816, detta di”villa Diodati”, dal luogo in cui lord George Gordon Byron, Percy e Mary Shelley, John Willam Polidori, segretario di Byron, ma anche scrittore in proprio e medico, ma anche altri(tra cui Matthew Gregory Lewis, autore a fine 1700 di”The Monk”, forse il primo romanzo gotico, della contessa Potocka e di altre figure)si incontrarono, non per una notte, ma per un’estate del 1816, “El ano del verano que nunca llego’ “(L’anno dell’estate mai arrivata), come nel bellissimo libro(ediz.Bogotà-Barcelona, Literatura Random House, 2015)di William Ospina, poeta, studioso, critico colombiano, che, nel suo libro sospeso(intendo come”sintesi creativa”)tra narrazione(récit, si dice in francese, termine in qualche modo intraducibile…), saggio, epifanie poetiche, ci dà un quadro ampio e saggiamente”divagante”della famosa notte. Un tema già affrontato, altrimenti, da Danilo Arona, studioso italiano, nella sua lunga(100 pagine) introduzione a”La notte di villa Diodati”(Roma, Nova Delphi, 2011). In Arona la preoccupazione è più puntuale-analitica, ricostruttiva, pur con la formulazione di varie ipotesi, mentre il respiro lirico di Ospina(che non esclude né forclude la componente analitica)va oltre, formulando varie ipotesi, come quella della rivalità tra Byron e Polidori, dove i terribili scherzi del poeta, libertino inveterato(bisex, inter cetera), colpiscono sempre John, italo-inglese di solida formazione scientifica, ma impacciato e”cresciuto all’ombra”del”terribile”poeta, come l’innamoramento(solo intellettuale-culturale, certo)di Percy Shelley, persona timida e riservata, nonostante il suo”scatenamento”prometeico, quasi da”Capaneo”dantesco, nella sua” The Necessity of Atheism”, quando poi Ospina ironizza sul comportamento invero molto borghese di Godwin, padre-patrigno amorevolmente borghese verso la sua famiglia molto allargata…  Netta la differenza tra Ospina e Arona a proposito della paternità di”The Wampyre”(Il Vampiro)di Polidori, testo di grande successo: per Ospina Byron per un certo tempo lo accreditare come proprio, per Arona, invece, il poeta si sarebbe discostato ben presto dall’ipotesi… Divergenze più che permesse dalle fonti, molto in contrasto tra loro e capaci di permettere la coesistenza di diverse ipotesi interpretative, appunto… siamo nell’ambito del”compossibile”, appunto. Ospina, gran viaggiatore anche approfittando delle conferenze all’estero, visita Ginevra e la”maldita”residenza ginevrina dei Diodati, nobili made in Italy, massoni(quando ai”freemasons”si attribuivano capacità occulte, medianiche), nobili non ben classificati nella residenza ginevrina, quando Genève era da poco diventata svizzera, dopo essere stata per tanto tempo francese, ma anche in un luogo multi-culturale da sempre e per tradizione, la Francia e soprattutto Parigi, Londra e the old England in genere, Roma, tornando certo anche nella natìa Colombia, regione di Tolìma(quella in cui “el idioma castellano”assume sfumature un po’cantate tali da assimilarlo a certe zone della Romagna), cittadina di Padua. Ritrova tracce, le amplia ipotizzando e poi riflettendo sulle ipotesi, non perde mai le tracce, le ri-confronta. Parte dai fenomnei atmosferici inquietanti(il titolo del libro non è certo solo un pretesto, i fenomeni furono realmente inquietanti , quell’anno), conclude riflettendo su come”mentre Goethe interrogava l’arcobaleno della storia e Schiller concocava alla rivolta, mentre Byron combatteva con i suoi dèmoni e Shelley soccombeva alla fatalità e alla musica(tutti i protagonisti della storia di Villa Diodati muoiono giovani e tragicamente, Polidori suicida, Lord Byron in Grecia combattendo, Shelley in mare per una tempesta, Mary più tardi, ma non anziana-a 53 anni-rosa da un tumore al cervello, su ciò entrambi gli studiosi concordano, rimandando all’eterno mito romantico), Hoelderin incalzava invano le sibille per porre la domanda più profonda e più urgente dei tempi moderni: come si formano i miti, presso i popoli?”(Ospina, “El ano…”, op.cit.,  p.290).  Vie diverse, con Arona così attento alle messe in scena filmiche(pur se anche in Ospina non mancano riferimenti, in particolare alle messe in scena di ROger Corman per”Dracula”e affini(vampiri nelle loro varie declinazioni) e Ken Russell per “Gothic”, sceneggiatura di Stephen Volk , 1986, dove Arona preferisce di gran lunga la sceneggiatura alla realizzazione registica… Ma torniamo ai testi prodotti quell’estate o poco dopo: “The Burial”di Byron(“La Sepoltura”, “The Wampyre”di Polidori, “Frankenstein or the Modern Prometheus”(F.o il moderno Prometeo)di Mary Shelley, mentre Percy  Shelley, per dirla in gergo del gioco alle carte”passa”-si astiene. Interessante il tema delle due figure, dove potremmo intravvedere il fantasma dell'”Altro”, come Arona(ma, da altri presupposti) sembra  lasciar intravedere, nel breve racconto, molto enigmatico di Byron, che invece Polidori sviluppa, senza mai cadere nelle secche del vampirismo”gore”…  Ma il testo più geniale è quello di Mary Shelley, con il mito prometeico del mostro di Frankenstein(in realtà così si chiama lo scienziato del romanzo, ma quasi tutti/e attribuiscono il nome alla”creatura”), tra “Nuovo Prometeo”, appunto e”homunculus”di Teofrasto Bombasto Paracelso e non solo…   Per dirla in formula:”il Romanticismo è vivo e lotta insieme a noi”.   Eugen Galasso

Lev Tolstoj di Eugen Galasso

Lev Tolstoj(1828-1910)è giustamente considerato uno scrittore di enorme rilievo(non so dirlo meglio), pur se rimane controversa la questione del rapporto con DOstoevskij, ossia l’eventuale superiorità dell’uno sull’altro, una quaestio che per molti critici dell’epoca(Soloviev, per fare un esempio)si risolve a favore di Dostoevskij, fino a un libro degli anni Settanta del Novecento di George Steiner, con romanzi come”Anna Karenina”, “Guerra e pace”, “Sonata a Kreutzer”,  tanti racconti (quelli di Sebastopoli, quelli dedicati al Natale e altre feste cristiane), fiabe, testi teorici, saggi. IN Tolstoj, dove “ingenerosamente”, in realtà pour cause,  per ex.in”Guerra e pace”si sottace la grandezza di Napoleone, che l’autore ritiene solo militare, il pensatore(grande, certo, entro i limiti umani, indubbiamente più di molti  “filosofi di professione”, magari di coloro che per tutta la vita studiano  Heidegger o Carnap senza capirci invero molto…)entra sempre nell’opera creativa, lo scrittore è anche nei saggi. Vegetariano, pacifista convinto(lui che era stato ufficiale nella guerra di Crimea), fautore di una pedagogia anti-autoritaria(a Jasnaja Poljana, suo luogo di nascita, fondò una scuola ispirata ai suoi ideali), avversario della proprietà privata, teorico di un cristianesimo anti-trascendente, fondato sull’amore del prossimo(“IL regno di Dio è in voi”), sostenitore della vita pratica(“Che fare?”)e di un’arte al servizio della vita sociale(“CHe cos’è l’arte”), autore di un solo testo teatrale di grande rilevanza politica(“La potenza delle tenebre”), fondato sul rifiuto della guerra e del militarismo, ispiratore di Gandhi, con cui fu in contatto epistolare come anche di tante teorie e prassi nonviolente e libertarie(pur se non si disse mai né”anarchico”né”libertario”, forse perché rifiutava le etichette), la lettura di ogni opera letteraria e teorica di Tolstoj è di grande importanza. Chi scrive, da”tolstojano”era, anzi è diventato conscio di limiti anche notevolissimi delle teorie del grande autore (questa, credo, la migliore definizione della sua opera), ma ne riconosce i meriti, in primis per essersi espresso coerentemente, senza rèmore, in un’epoca in cui ogni presa di posizione era/è”sotto attacco”, per aver preso su di sé attacchi, calunnie, insulti, oltre(certo)a riconoscimenti anche di grande importanza.   Ogni testo(come si è detto, letterario, teorico, pedagogico etc.)di Tolstoj è da prendere in considerazione, dalla sua critica alla caccia, all’ alcol e alle”droghe”(all’epoca l'”offerta”era ben più limitata…), fino alle rappresentazioni “epiche” delle grandi questioni(guerra versus pace, amore e matrimonio, castità)nelle opere maggiori o meglio più conosciute. Sempre tenendo presente che l’opera tolstojana è una, “indivisibile”, non parcellizzabile per esigenze di analisi e di studio.    Eugen Galasso

Irving Washington di Eugen Galasso

Washington Irving(1783-1859), considerato il primo vero grande scrittore USA(una generazione o quasi prima di Poe, Melville, Emerson, Hawthorne, per intenderci), di radici saldamente olandesi, in varie occasione ricordate, ma attento alla riscoperta di quelle inglesi e in genere britanniche(ma il concetto di”old ENgland”, “vecchia Inghilterra”è quello prevalente in quel tempo e in Irving, rispetto al concetto di”Britannia”, includente anche Irlanda del Nord, Galles, Scozia), è noto soprattutto(tutti lo considerano il suo capolavoro)per”The Sketch Book of Geoffrey Crayon”, in italiano”Il libro degli schizzi”), nel quale si alternano racconti, racconti di racconti, ossia racconti incastonati in altri racconti, narrazioni para- saggistiche più che decisamente definibili come tali. In tutte le narrazioni, comunque,  prevalgono assolutamente ironia, auto-ironia, umorismo, dove anche l’elemento fantastico ha la sua parte. Esso viene in realtà trattato anche umoristicamente ma anche svelato nella sua reale essenza, come ne”Lo sposo fantasma. Il racconto di un viaggiatore”, ma altrove il dubbio rimane, come in “Il mistero di Sleepy Hollow”, lasciando il lettore nell’incertezza, quella che, per Todorov, nel suo validissimo saggio di 47 anni fa, è feconda per la comprensione dell’essenza del fantastico stesso. Il saggio introduttivo di Goffredo Fofi, valido “savanturier”(neologismo di Boris Vian, “avventuriero sapiente”)di letteratura, cinema ma non solo, è efficace, ma credo non colga nel segno quando afferma che”Le sue storie di fantasmi. ..hanno spiegazioni tutte razionali”( W.Irving, “Il mistero di Sleepy Hollow e altri racconti”, ROMA, Newton Compton, 2008, p.10); semmai hanno spiegazioni “anche razionali”, ma non solo, anche in quanto “playing the plays”,  cuentos de cuentos, narrazioni di narrazioni… Irving è molto”avanti”anche nella demistificazione del mito(allora imperante, e imperante ancora in tanti western, reale memoria collettiva e mito quasi fondatore degli States, almeno fino agli anni 1970)degli Indiani”barbari e cattivi”, anzi ne rivendica la purezza fino alla corruzione indotta dagli”invasori bianchi”, con espressioni che ricordano decisamente in”bon sauvage”rousseuiano.        Eugen Galasso

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